lunedì 10 maggio 2010

Gli eroi non invecchiano


Gli 80 anni di Clint Eastwood

Il grande attore e regista compie gli anni il 31 maggio. L'amore per il grande schermo, la scelta dei ruoli, il legame coi sette figli e una richiesta alla moglie: "Per favore, niente festeggiamenti"di ROALD RYNNING

NEW YORK - Il 31 maggio la leggenda del cinema americano compirà 80 anni. A un'età in cui i suoi coetanei in genere se ne sono andati in pensione da un pezzo, Clint Eastwood - con dieci nomination agli Oscar come attore, regista e produttore - non ha alcuna intenzione di seguire le loro orme. Il regista che si è già portato a casa due ambite statuette (un Oscar come regista di "Gli spietati" e l'altro per "Million dollar baby") dirige ancora un film all'anno. Nell'autunno scorso è uscito nelle sale "Invictus", mentre "Hereafter" un supernatural thriller ancora con Matt Damon uscirà a Natale, ed è già nella fase di pre-produzione di "Hoover", biografia del controverso direttore dell'Fbi. Solo negli ultimi dieci anni Eastwood ha diretto nove film tra i quali "Mystic river", "Million dollar baby", "Flags of our fathers" e "Gran Torino."

Festeggerà il compleanno il 31 maggio?
"Già quando si arriva ai 70 succedono un sacco di cose e una di queste è che non si festeggiano più i compleanni. L'ho proibito a mia moglie. Le ho detto espressamente: "Per favore, non voglio festeggiamenti". Non voglio dover aprire un pacchetto e fingere che era proprio quello che desideravo. Non desidero nulla. Al massimo un bicchiere di vino".

La sua carriera copre 55 anni come attore, e come regista ha iniziato "appena" a 60 anni. Qual è il segreto?
"Talvolta i registi non provano neppure a cimentarsi con quello che potrebbe farli crescere ancora. Se fossi tornato dall'Italia negli anni Sessanta per dedicarmi unicamente ai western, mi sarei ritrovato presto fuori dal giro. Il segreto della longevità è uno solo: cambiare, cambiare di continuo e cercare sempre cose nuove con le quali cimentarsi. Finché sarò lucido offrirò al pubblico quello che mi è possibile, che è molto più di quanto io abbia offerto come regista a 40, 50, 60 o 70 anni. Ora mi sento a mio agio in questo ruolo".

Ha paura della morte?
"Non credo. Ho imparato da mia madre che quando una cosa non ti diverte più è giunto il momento di passare ad altro e lasciar perdere".

Perché ha voluto dirigere Hereafter?
"La sceneggiatura era molto bella. Si tratta di un supernatural thriller scritto da Peter Morgan, che ha scritto anche "The Queen" e "Frost/Nixon". La trama è tutto. Poi servono buoni attori: io do sempre molta importanza al casting. Se hai una buona sceneggiature e un buon cast per rovinare il film devi mettercela davvero tutta".

Il suo prossimo film è una biografia su J. Edgar Hoover.
"Sono in quella fase della vita nella quale non si ha voglia di ripetersi. Forse se fossi giovane mi accontenterei. Inoltre non sono attaccato a un genere in particolare, come lo ero forse una quarantina di anni fa...".

Lavora molto velocemente...
"Detesto fare molte prove e varie riprese. Mi piace dirigere come sono stato diretto io, il che significa che mi faccio avanti e faccio vedere come vorrei che fosse interpretata una scena. Se invece non piace come la intendo io, lascio che a parlare siano gli altri e ci si mette d'accordo. In ogni caso non dico mai: "Stai lì, ripeti le battute, anzi facciamolo per 25 volte!". Potrei ammuffire...".

Ha sempre diretto in questo modo?
"No, in realtà così ho iniziato con "Gli spietati". Chiesi a Gene Hackman di ripetere una scena mentre sistemavo la cinepresa. Lui iniziò ed era così meraviglioso che gli dissi: "Fermati! Accendiamo e giriamo subito". Non volevo che andasse sprecata tutta quella freschezza, quella naturalezza".

Che atmosfera si respira sui suoi set?
"Mi piace che regni sempre la tranquillità. Gli assistenti alla regia lavorano in cuffia e auricolare, così che gli attori non si innervosiscono. Non dico nemmeno la parola magica "Azione!". Dico soltanto: "Appena siete pronti, iniziate pure"".

Ha mai rimpianto di aver rifiutato il ruolo di James Bond quando Sean Connery smise di interpretarlo?
"No. Pensavo che 007 dovesse essere inglese. Sono di discendenza britannica, ma non è la stessa cosa. Oltretutto non era proprio un ruolo per il quale avessi un debole".

Come è cambiata secondo lei l'industria del cinema?
"Tutti badano a una cosa sola: gli incassi della prima settimana nelle sale. Sono ossessionati dall'idea di essere quelli che incassano di più. Ma chi se ne frega!".

Non la preoccupano gli incassi?
"Per niente. Voglio girare solo le storie che mi piacciono. Se poi avranno un buon pubblico bene. Ma di sicuro non mi preoccupo: ognuno è libero di apprezzare quello che vuole".

Crede di essere diventato più pacato col tempo?
"Sono più paziente. Penso che dipenda dal fatto che ho avuto tanti figli, ma anche la vecchiaia rende più pacati. Le piccole cose non sono più così importanti come una volta, e non ci si preoccupa più per le bazzecole".

Lei ha sette figli (da cinque donne diverse) e tra il primo e l'ultimo che oggi ha 13 anni corrono 33 anni di differenza. Come ci si sente a essere un padre anziano?
"Essere padri alla mia età è una sensazione magnifica. Pur avendo sempre lavorato molto non ho mai trascurato i miei figli. Vado a ogni partita di calcio di mio figlio, e so di essere per lo meno ridicolo, perché tutti gli altri padri sono molto più giovani di me. Ma è divertente... Alla mia età si apprezzano le cose molto di più".

Di che cosa si occupa quando non lavora?
"Mi piace fare le cose con calma. Gioco a golf quasi tutti giorni e mi piace bere birra Budweiser. La cosa più bella, però, è che mi piaccia ancora lavorare. Credo che sia questo a tenermi giovane: tenere sempre il cervello bene in funzione".

Dopo "Gran Torino" lei ha detto che non tornerà a recitare. La pensa ancora così?
"Beh, non ci sono molte sceneggiature che prevedano attori ottantenni! Oltretutto sono sempre molto impegnato a dirigere per riuscire a interpretare qualche parte ancora. Il mio posto adesso è dietro la telecamera. Senza contare che mi piacerebbe lasciare quando sono al top. Non vorrei essere come uno di quei pugili che continuano a stare sul ring anche quando non combattono al meglio".

Come le piacerebbe essere ricordato?
"La maggior parte delle persone, se mai mi ricorderà, penserà a me come un "action hero". E mi sta bene. Non c'è nulla di male in questo. Ma ci sarà sicuramente anche qualcuno che mi ricorderà per gli altri film, quelli nei quali ho voluto cogliere qualche sfida. O per lo meno mi piace pensarlo".

(© IFA-la Repubblica - Traduzione di Anna Bissanti)

(10 maggio 2010) © Riproduzione riservata

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