venerdì 28 maggio 2010

Dagli occhi di un bambino decollano gli aeroplani.

Dagli occhi di un bambino decollano gli aeroplani.

Se chiudesse gli occhi cadrebbero.
Solo il suo stupore li mantiene sospesi,
la sua piccola mano li innalza,
il suo cuore li muove e li allontana.
Senza un bambino appiccicato ai vetri,
alle alte ringhiere di una terrazza adulta
gli aeroporti morirebbero d’orrore.
Un bambino non potrà mai pronunciare la parola “aeronautica”,
ma da lui dipenderà l’imitazione dell’uccello.
Un bambino non saprà calcolare le distanze,
ma è lui la garanzia del ritorno.
Ogni aeroporto deve avere un bambino incollato ai vetri,
accanto agli altoparlanti, dovunque si acquatti
la paura.
Grazie a lui durerà meno lacrime il rientro di tutti,
dorrà meno baci l’addio delle madri
e le hostess potranno prescindere da avvisi insulsi.

Un aeroplano per aria
sono molti bambini che guardano l’orizzonte.


Alexis Diaz Pimienta

giovedì 27 maggio 2010

Il ruolo degli intellettuali

21 Maggio 2010
Ermesto Morales – Reinaldo, a volte mi capita di pensare al ruolo degli intellettuali nella nostra società. Ascolto le canzoni di musicisti che potremmo definire di protesta, leggo la letteratura di alcuni scrittori che narrano la realtà quotidiana e mi faccio una domanda: In quale misura gli artisti, gli uomini di pensiero, hanno influenzato in maniera determinante la nostra realtà e fino a quale punto sono stati soltanto cronisti che descrivono cosa succede, senza mai andare oltre? Nel vostro caso, quale sarà il risultato concreto dei blog che scrivete e dello spazio che si fa chiamare blogosfera alternativa? Quale sarà la vera influenza sulla realtà di quel che state facendo?

Reinaldo Escobar – Sto per fare un esempio che può sembrare esagerato, ma illustra molto bene ciò che credo. Bada bene, non si tratta di un esempio tra persone, ma tra situazioni. José Martí è l’Apostolo dell’indipendenza cubana. L’uomo che costruì nella sua mente la nazione che tutti - un giorno o l’altro - vorremmo avere. Tuttavia, mi sono sempre chiesto quanti uomini che cavalcavano con un machete in mano e parteciparono con lui alla guerra, abbiano letto un suo testo. José Martí scriveva sul periodico Patria e su La Nación di Buenos Aires, tra i tanti media con cui collaborava, ma questi giornali non si vendevano nelle edicole cubane. La sua opera è stata conosciuta soltanto dopo. Ma qualcuno potrebbe negare l’enorme influenza che ebbe Martí nel raggiungimento dell’indipendenza e nella guerra del 95? Quindi, il fatto che le persone non conoscano in modo chiaro il tuo lavoro non implica che quel che fai non influenzi la situazione. Faccio questo esempio perché sono convinto che oggi molte persone leggono i giornalisti indipendenti e i blogger alternativi, attingendo briciole di libertà. Di sicuro molte più persone di quante alla fine del 1800 leggessero i testi di Martí.

Poi ti dico che in certi casi si esalta eccessivamente il ruolo degli intellettuali nei cambiamenti sociali. Io penso che gli intellettuali sono una coscienza critica della società, che hanno un ruolo importantissimo, ma che non possono provocare il cambiamento definitivo. La società cambia perché deve farlo, perché esistono i problemi, le persone si stancano di vivere in un certo modo e prima o dopo arrivano le soluzioni. La responsabilità che hanno gli intellettuali è innegabile, ma questo non vuol dire che senza di loro non accadrebbero le cose. Che Guevara scrisse nel 1962 un testo di cui si parla molto, un saggio intitolato L’uomo e il Socialismo a Cuba. Quando parla degli intellettuali cubani, dice che erano macchiati da un peccato originale: non erano stati rivoluzionari. Un’accusa che non è del tutto falsa, perché in definitiva i redattori della rivista Origines, Alejo Carpentier, Guillén (che si trovava in esilio) e Alicia Alonso non fecero niente in maniera diretta né per la Rivoluzione né contro Batista. Ma facevano qualcosa di molto importante: nutrivano l’anima della nazione. Non avevano scritto parole incendiarie, né sparato un colpo sulla Sierra Maestra, ma erano ugualmente importanti, perché una nazione con un’anima ben nutrita non sopporta una dittatura... Per molto tempo ho visto in questa accusa di Che Guevara un valido argomento, ma oggi quando tento di stabilire un’analogia tra questa dittatura che abbiamo e la precedente nella quale gli intellettuali non parteciparono alla lotta, la prima cosa che mi dico è: Reinaldo, tu non devi pensare come Che Guevara. Non sarò certo io a dire che gli intellettuali si stanno macchiando del peccato originale di sempre perché non lottano contro chi dovrebbero. Quando vado a vedere una buona opera di teatro, di danza, oppure quando mi reco a un grande concerto, mi rendo conto che un artista sta gratificando un individuo, sta trasmettendo valori umani alle persone, sta dicendo a chi ascolta: Tu sei un individuo, anche se non parla delle difficoltà e non si esprime contro la dittatura, secondo me sta compiendo un’azione contestatrice. Perché una dittatura non funziona se esistono individui, esseri umani liberi, ma va avanti solo con gente meccanizzata e priva di un’individualità, di una vera e propria anima. Secondo me è sufficiente che gli artisti e gli intellettuali alimentino la sensibilità individuale, soltanto in questo modo staranno facendo quello che è nella loro responsabilità.



Ernesto Morales

ernestomorales@gmail.com

Traduzione di Gordiano Lupi

Da: Oblò Cubano
http://www.tellusfolio.it/index.php?prec=/index.php?lev=65&cmd=v&lev=65&id=11072

Noi contro la legge


di Umberto Eco
Le norme sulle intercettazioni. Il controllo dei tg della tv pubblica. E prima il lodo Alfano, i tagli alla scuola... Berlusconi trasforma le istituzioni un passo dopo l'altro, con lentezza. Perché i cittadini assorbano i cambiamenti come naturali. Così al colpo di Stato si è sostituito lo struscio di Stato

È nota la definizione della democrazia come sistema pieno di difetti ma di cui non si è ancora trovato nulla di meglio. Da questa ragionevole assunzione discende, per la maggior parte della gente, la convinzione errata che la democrazia (il migliore o il meno peggio dei sistemi di governo) sia quello per cui la maggioranza ha sempre ragione. Nulla di più falso. La democrazia è il sistema per cui, visto che è difficile definire in termini qualitativi chi abbia più ragione degli altri, si ricorre a un sistema bassamente quantitativo, ma oggettivamente controllabile: in democrazia governa chi prende più consensi. E se qualcuno ritiene che la maggioranza abbia torto, peggio per lui: se ha accettato i principi democratici deve accettare che governi una maggioranza che si sbaglia.

Una delle funzioni delle opposizioni è quella di dimostrare alla maggioranza che si era sbagliata. E se non ce la fa? Allora abbiamo, oltre a una cattiva maggioranza, anche una cattiva opposizione. Quante volte la maggioranza può sbagliarsi? Per millenni la maggioranza degli uomini ha creduto che il sole girasse intorno alla terra (e, considerando le vaste aree poco alfabetizzate del mondo, e il fatto che sondaggi fatti nei paesi più avanzati hanno dimostrato che moltissimi occidentali ancora credono che il sole giri) ecco un bel caso in cui la maggioranza non solo si è sbagliata ma si sbaglia ancora. Le maggioranze si sono sbagliate a ritenere Beethoven inascoltabile o Picasso inguardabile, la maggioranza a Gerusalemme si è sbagliata a preferire Barabba a Gesù, la maggioranza degli americani sbaglia a credere che due uova con pancetta tutte le mattine e una bella bistecca a pasto siano garanzie di buona salute, la maggioranza si sbagliava a preferire gli orsi a Terenzio e (forse) si sbaglia ancora a preferire "La pupa e il secchione" a Sofocle. Per secoli la maggioranza della gente ha ritenuto che esistessero le streghe e che fosse giusto bruciarle, nel Seicento la maggioranza dei milanesi credeva che la peste fosse provocata dagli untori, l'enorme maggioranza degli occidentali, compreso Voltaire, riteneva legittima e naturale la schiavitù, la maggioranza degli europei credeva che fosse nobile e sacrosanto colonizzare l'Africa.

In politica Hitler non è andato al potere per un colpo di Stato ma è stato eletto dalla maggioranza, Mussolini ha instaurato la dittatura dopo l'assassinio di Matteotti ma prima godeva di una maggioranza parlamentare, anche se disprezzava quell'aula «sorda e grigia». Sarebbe ingiusto giocare di paradossi e dire dunque che la maggioranza è quella che sbaglia sempre, ma è certo che non sempre ha ragione. In politica l'appello alla volontà popolare ha soltanto valore legale ("Ho diritto a governare perché ho ricevuto più voti") ma non permette che da questo dato quantitativo si traggano conseguenze teoriche ed etiche ("Ho la maggioranza dei consensi e dunque sono il migliore").

In certe aree della Sicilia e della Campania i mafiosi e i camorristi hanno la maggioranza dei consensi ma sarebbe difficile concluderne che siano pertanto i migliori rappresentati di quelle nobilissime popolazioni. Recentemente leggevo un giornalista governativo (ma non era il solo ad usare quell'argomento) che, nell'ironizzare sul caso Santoro (bersaglio ormai felicemente bipartisan), diceva che costui aveva la curiosa persuasione che la maggioranza degli italiani si fosse piegata di buon grado a essere sodomizzata da Berlusconi. Ora non credo che Berlusconi abbia mai sodomizzato qualcuno, ma è certo che una consistente quantità di italiani consente con lui senza accorgersi che il loro beniamino sta lentamente erodendo le loro libertà. Erodere le libertà di un paese significa di solito mettere in atto un colpo di Stato e instaurare violentemente una dittatura. Se questo avviene, gli elettori se ne accorgono e, se pure non hanno la forza di zione di colpo di Stato che è con lui cambiata. Al colpo di Stato si è sostituito lo struscio di Stato. All'idea di una trasformazione delle strutture dello Stato attraverso l'azione violenta il genio di Berlusconi è stato ed è quello di attuarle con estrema lentezza, passettino per passettino, in modo estremamente lubrificato.

Pensate alla inutile violenza con cui il fascismo, per fare tacere la voce scomoda di Matteotti, ha dovuto farlo ammazzare. Cose da medioevo. Non sarebbe bastato pagargli una buona uscita megagalattica (e tra l'altro non con i soldi del governo ma con quelli dei cittadini che pagano il canone)? Mussolini era davvero uomo rozzissimo. Quando una trasformazione delle istituzioni del Paese avviene passo per passo, e cioè per dosi omeopatiche, è difficile dire che ciascuna, presa di per sé, prefiguri una dittatura - e infatti quando qualche cassandra lo fa viene sbertucciata. Il fatto è che per un nuovo populismo mediatico la stessa dittatura è un sistema antiquato che non serve a nulla. Si possono modificare le strutture dello Stato a proprio piacere e secondo il proprio interesse senza instaurare alcuna dittatura.

Si può dire che il lodo Alfano prefiguri una tirannia? Sciocchezze. E calmierare le intercettazioni attenta davvero alla libertà d'informazione? Ma suvvia, se qualcuno ha delitto lo sapranno tutti a giudizio avvenuto, e l'evitare di parlare in anticipo di delitti solo presunti rispetta se mai la privatezza di ciascuno di noi. Vi piacerebbe che andasse sui giornali la vostra conversazione con l'amante, così che lo venisse a sapere la vostra signora? No, certo. E se il prezzo da pagare è che non venga intercettata la conversazione di un potente corrotto o di un mafioso in servizio permanente effettivo, ebbene, la nostra privatezza avrà bene un prezzo. Vi pare nazifascismo ridurre i fondi per la scuola pubblica? Ma dobbiamo risparmiare tutti, e bisogna pur dare l'esempio a cominciare dalle spese collettive. E se questo consegna il paese alle scuole private? Non sarà la fine del mondo, ce ne sono delle buonissime. È stalinismo rendere inguardabili i telegiornali delle reti pubbliche? No, se mai le vecchie dittature facevano di tutto per rendere la radio affettuosissima. Ma se questo va a favore delle reti private? Beh, vi risulta che Stalin abbia mai favorito le televisioni private?

Ecco, la funzione dei colpi di Stato striscianti è che le modificazioni costituzionali non vengono quasi percepite, o sono avvertite come irrilevanti. E quando la loro somma avrà prodotto non la seconda ma la terza Repubblica, sarà troppo tardi. Non perché non si potrebbe tornare indietro, ma perché la maggioranza avrà assorbito i cambiamenti come naturali e si sarà, per così dire, mitridatizzata. Un nuovo Malaparte potrebbe scrivere un trattato superbo su questa nuova tecnica dello struscio di Stato. Anche perché di fronte a essa ogni protesta e ogni denuncia perde valore provocatorio e sembra che chi si lamenta dia corpo alle ombre.

Pessimismo globale, dunque? No, fiducia nell'azione benigna del tempo e della sua erosione continua. Una trasformazione delle istituzioni che procede a piccoli passi può non avere tempo per compiersi del tutto, a metà strada possono avvenire smandrappamenti, stanchezze, cadute di tensione, incidenti di percorso. È un poco come la barzelletta sulla differenza tra inferno tedesco e inferno italiano. In entrambi bagno nella benzina bollente al mattino, sedia elettrica a mezzogiorno, squartamento a sera. Salvo che nell'inferno italiano un giorno la benzina non arriva, un altro la centrale elettrica è in sciopero, un altro ancora il boia si è dato malato… Tagliare la testa al re o occupare il Palazzo d'Inverno è cosa che si fa in cinque minuti. Avvelenare qualcuno con piccole dosi d'arsenico nella minestra prende molto tempo, e nel frattempo chissà, vedrà chi vivrà. Per il momento, resistere, resistere, resistere.

(27 maggio 2010)

Il falso dilemma della transizione cubana

Da: El Pais - 25 Maggio 2010

Negli ultimi giorni varie istituzioni e personalità della cultura insulare hanno reagito contro la Piattaforma Spagnola per la Democratizzazione di Cuba, promossa da oltre 60 scrittori e artisti spagnoli, critici del sistema politico cubano, esponenti delle più svariate tendenze ideologiche. Le reazioni possono essere lette su La Jiribilla, settimanale telematico del Ministero della Cultura, uno dei principali apparati ideologici dello Stato cubano.

Il castrismo attacca gli artisti e gli scrittori spagnoli che hanno firmato a favore della democrazia a Cuba.

Questi intellettuali - colpevoli di aver espresso opinioni su quel che succede in un paese del mondo - si sono presi accuse di “ingerenza” e “aggressione”, aggettivi denigratori come “fascisti”, “franchisti” e “reazionari”, infine la diversità ideologica dei firmatari della Piattaforma è stata definita “Operazione Asnar”. Certe risposte forniscono un aiuto prezioso al dibattito su Cuba: offrono una spiegazione del perché il governo di Raúl Castro non intraprende la strada delle riforme promesse durante i primi mesi del suo mandato.

Nascosta tra una serie di affermazioni contraddittorie come “Cuba è già cambiata mezzo secolo fa”, “sta cambiando tutti i giorni”, “cambierà quando finirà l’embargo”, compare la spiegazione che il Governo non ha dato: le riforme non si realizzano perché concedere diritti civili, economici e politici alla popolazione vorrebbe dire consegnare un’arma al “nemico” che ne approfitterebbe per distruggere la Rivoluzione, ritornare alla dipendenza dagli Stati Uniti e restaurare il capitalismo.

Il nemico, un mostro creato dall’ideologia ufficiale, è un’idra dalle mille teste (l’opposizione interna, la dissidenza socialista, gli esiliati, Miami, gli Stati Uniti, l’Unione Europea, il Gruppo Prisa, El País, la CNN, El Nuevo Herald, Letras Libres, la destra latinoamericana...) che miracolosamente agisce come un’entità razionale, con un’agenda perfettamente strutturata e coordinata. Dovremo prima rispondere alla domanda: chi è il nemico? Per poi farci un’idea approssimata della sua perversa missione.

Chi è il nemico? Yoani Sánchez e i giovani blogger che raccontano in maniera critica il difficile quotidiano dei cubani sull’isola? Le Dame in Bianco, che chiedono solo di marciare in silenzio dopo aver assistito a una messa e aver pregato per la salute dei loro sposi e dei figli prigionieri? Oswaldo Payá, Elizardo Sánchez, Vladimiro Roca, Martha Beatriz Roque, Manuel Cuesta Morúa o gli altri leader dell’opposizione interna, che difendono la transizione pacifica, la riconciliazione nazionale, e denunciano ogni violazione dei diritti umani che si verifica sull’isola?

Chi è il nemico? Carlos Alberto Montaner o i vari leader socialdemocratici, democristiani, socialisti o liberali dell’esilio che da decenni promuovono un cambiamento concordato, senza escludere gli stessi membri dell’attuale classe politica cubana? Il Governo di Barack Obama, che ha eliminato le sanzioni del 2004 e ha ricominciato il dialogo migratorio con il Governo cubano, ma crede che per togliere l’embargo commerciale sia necessario che L’Avana intraprenda le riforme promesse? L’Unione Europea, che pure ha eliminato le sanzioni del 2004, ma che rimane divisa sull’opportunità o meno di riproporre la posizione comune del 1996?

Chi è il nemico? Miami, dove solo negli ultimi mesi - e grazie alla mediazione di Obama - si sono esibiti La Charanga Habanera, Los Van Van, il duo Buena Fe e Carlos Varela e da dove passano costantemente poeti, romanzieri, drammaturghi, pittori e attori cubani? Dove hanno tenuto conferenze lo storico Eduardo Torres Cuevas, direttore della Biblioteca Nazionale di Cuba, il politologo Rafael Hernández, direttore della principale rivista di scienze sociali dell’isola, e due premi nazionali della letteratura cubana, Antón Arrufat e Abelardo Estorino? Miami, la città che invia oltre mille milioni di dollari in rimesse all’isola e che sostiene maggiormente la riunificazione familiare?

Cosa desiderano i “nemici”? Distruggere la Rivoluzione? Nessuno degli attori politici indicati difende lo scontro o la violenza come metodo politico e nessuno ritiene che oggi esista ancora una “rivoluzione”. Tutti pensano che la Rivoluzione è stata un fenomeno storico che ebbe luogo tra la fine degli anni Cinquanta e il principio dei Settanta, la cui eredità è tema di dibattito tra gli storici. Quel che pensano davvero questi “nemici” è che il sistema politico che è derivato da quella Rivoluzione - partito unico, economia statale, controllo della società civile - è incapace di rappresentare in maniera equa i complessi interessi della società cubana del XXI secolo.

Cosa desiderano i nemici? Annettere Cuba agli Stati Uniti? Creare uno Stato dipendente o semisovrano, come quello esistito tra il 1902 e il 1934? Nessuno dei programmi politici delle più conosciute e prestigiose organizzazioni dell’opposizione e dell’esilio cubano popone simili assurdità. Tutti gli attori politici che abbiamo detto, incluso gli Stati Uniti, l’Unione Europea o qualunque leader dell’America Latina che simpatizzi con la transizione cubana, aspirano a preservare l’autodeterminazione dell’isola.

Cosa desiderano i “nemici”? Restaurare il capitalismo? Il capitalismo è già stato restaurato a Cuba, soltanto che l’unica impresa autorizzata a sfruttare il lavoro salariato, trarre plusvalore e spartire i guadagni con i suoi soci del capitale straniero è lo Stato. Le principali entrate di un simile Stato provengono dall’economia del mercato globale, quindi il conflitto cubano non è tra chi vuole preservare il socialismo e chi vuol tornare al capitalismo, ma tra chi vuole conservare l’attuale capitalismo autoritario di Stato e chi vuole democratizzarlo.

I desideri del “nemico” non sono molto lontani, a quanto pare, da quelli della maggioranza dei cittadini dell’isola. A giudicare da quel che ha espresso la base del Partito Comunista, i “rivoluzionari” cubani, anche se votano alle elezioni e sfilano il 1° Maggio, vogliono poter uscire ed entrare dal loro paese senza il permesso del Governo, avere diritto alla piccola e media impresa privata, accedere liberamente all’informazione nazionale e internazionale, associarsi ed esprimersi con maggior autonomia.

Non è vero che il Governo di Raúl Castro non realizza le riforme perché vuol proteggere il popolo dai suoi nemici, ma perché non vuol cedere il suo vecchio e atrofizzato potere. La distruzione della Rivoluzione, la perdita della sovranità dell’isola o la restaurazione del capitalismo non sono minacce reali. Sono finzioni concepite per posporre, una volta di più, il cambiamento che serve alla maggior parte dei cubani, persino a chi fa parte dell’attuale Governo. Un cambiamento la cui necessità è decisa dalla mancanza di corrispondenza tra la società pluralista dell’isola, la diaspora e la costruzione totalitaria del sistema politico cubano.



Rafael Rojas*

(da El País, 24 maggio 2010)

Traduzione di Gordiano Lupi


* Rafael Rojas è uno storico cubano esiliato in Messico. Ha conseguito il Premio di Saggistica “Isabel Polanco” con Repúblicas de aire.

Generación Y

24/5/2010

Fucilazione mediatica

YOANI SANCHEZ

Mi pettino i capelli. Non si festeggia niente oggi, sarebbe meglio che me li lasciassi arruffati e opachi invece di disporli su tre fila che intreccio secondo una logica ben precisa. Il rito della pettinatura mi placa l’ansia e alla fine la mia testa è in ordine, mentre il mondo continua a essere agitato.

Ho vissuto un fine settimana da capogiro e ho pensato che il rituale di sistemare la capigliatura e ridurla a una lunga treccia avrebbe annullato la tensione, ma non ha funzionato. Venerdì è stato fatto il mio nome durante il noioso programma della tavola rotonda, unito a concetti come “ciberterrorismo”, “cibercommando” e “guerra mediatica”. Essere menzionato in modo negativo nello spazio più ufficiale della televisione, rappresenta per qualunque cubano la conferma della sua morte sociale. Una lapidazione pubblica che consiste nel riempire di improperi chi manifesta idee critiche, senza concedere neppure pochi minuti come diritto di replica.

Gli amici mi hanno chiamato allarmati, temendo che la mia casa fosse piena di uomini che frugano sotto i materassi e dietro ai quadri. Malgrado ciò ho risposto al telefono esibendo il mio tono più gioviale: dimmi chi ti denigra e ti dirò chi sei, ho replicato a chi manifestava la sua preoccupazione. Se ti insultano i mediocri, gli opportunisti, se ti ingiuriano i salariati di un potente meccanismo ormai agonizzante, devi far conto che sia una decorazione… ho mormorato per tutta la notte come se fosse un mantra. Il giorno dopo la realtà continuava a negare il discorso ufficiale e i miei vicini, impegnati a rincorrere uno sfuggente piatto di riso, non avevano avuto né tempo né voglia di guardare una così noiosa montatura televisiva.

Le “fucilazioni mediatiche” non funzionano più, per questo mi chiedo cosa sta succedendo nella nostra realtà. Alcuni anni fa il disprezzo governativo avrebbero prodotto l’effetto di far allontanare tutti da me e dalla mia casa, mentre invece adesso si avvicinano, mi strizzano l’occhio e mi stringono le spalle in segno di complicità. Hanno utilizzato troppe volte la diffamazione come sistema per zittire il prossimo. Per questo motivo gli aggettivi incendiari non hanno più effetto su una popolazione oberata di slogan che non vede risultati. Il balsamo riparatore è arrivato proprio questo sabato. Un argentino è riuscito a far entrare nel paese il trofeo del mio premio Perfil e quasi nello stesso tempo una cilena ha foderato con carta rosa l’edizione spagnola del mio Cuba Libre e gli ha fatto superare la dogana.

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

Nota: Yoani Sánchez ha vinto il Premio di Giornalismo Perfil nella categoria Libertà di Espressione. Cuba Libre è stato pubblicato in spagnolo da Radom House-Mondadori ed è attualmente distribuito in Cile, Colombia e Venezuela. L’Italia ha il primato di aver pubblicato per primo il libro di Yoani Sánchez (Rizzoli, 2009), da me tradotto.


martedì 11 maggio 2010

Mentre dormi

Mentre dormi ti proteggo
e ti sfioro con le dita
ti respiro e ti trattengo
per averti per sempre

Oltre il tempo di questo momento
arrivo in fondo ai tuoi occhi
quando mi abbracci e sorridi
se mi stringi forte fino a ricambiarmi l'anima

Questa notte senza luna adesso
vola.. tra coriandoli di cielo
e manciate di spuma di mare
Adesso vola

Le piume di stelle
sopra il monte più alto del mondo
a guardare i tuoi sogni
arrivare leggeri

Tu che sei nei miei giorni
certezza, emozione
Nell'incanto di tutti i silenzi
che gridano vita

sei il canto che libera gioia
sei il rifugio, la passione

Con speranza e devozione
io ti vado a celebrare
come un prete sull'altare
io ti voglio celebrare
come un prete sull'altare

Questa notte ancora vola
tra coriandoli di cielo
e manciate di spuma di mare
Adesso vola

Le piume di stelle
sopra il monte più alto del mondo
a guardare i tuoi sogni
arrivare leggeri

Sta arrivando il mattino
stammi ancora vicino
sta piovendo
e non ti vuoi svegliare
resta ancora resta per favore

e guarda come...
vola tra coriandoli di cielo
e manciate di spuma di mare
Adesso vola

Le piume di stelle
sopra il monte più alto del mondo
a guardare i tuoi sogni
arrivare leggeri

Vola... Adesso vola
Oltre tutte le stelle
alla fine del mondo
vedrai, i nostri sogni diventano veri!

Max Gazzè

lunedì 10 maggio 2010

Gli eroi non invecchiano


Gli 80 anni di Clint Eastwood

Il grande attore e regista compie gli anni il 31 maggio. L'amore per il grande schermo, la scelta dei ruoli, il legame coi sette figli e una richiesta alla moglie: "Per favore, niente festeggiamenti"di ROALD RYNNING

NEW YORK - Il 31 maggio la leggenda del cinema americano compirà 80 anni. A un'età in cui i suoi coetanei in genere se ne sono andati in pensione da un pezzo, Clint Eastwood - con dieci nomination agli Oscar come attore, regista e produttore - non ha alcuna intenzione di seguire le loro orme. Il regista che si è già portato a casa due ambite statuette (un Oscar come regista di "Gli spietati" e l'altro per "Million dollar baby") dirige ancora un film all'anno. Nell'autunno scorso è uscito nelle sale "Invictus", mentre "Hereafter" un supernatural thriller ancora con Matt Damon uscirà a Natale, ed è già nella fase di pre-produzione di "Hoover", biografia del controverso direttore dell'Fbi. Solo negli ultimi dieci anni Eastwood ha diretto nove film tra i quali "Mystic river", "Million dollar baby", "Flags of our fathers" e "Gran Torino."

Festeggerà il compleanno il 31 maggio?
"Già quando si arriva ai 70 succedono un sacco di cose e una di queste è che non si festeggiano più i compleanni. L'ho proibito a mia moglie. Le ho detto espressamente: "Per favore, non voglio festeggiamenti". Non voglio dover aprire un pacchetto e fingere che era proprio quello che desideravo. Non desidero nulla. Al massimo un bicchiere di vino".

La sua carriera copre 55 anni come attore, e come regista ha iniziato "appena" a 60 anni. Qual è il segreto?
"Talvolta i registi non provano neppure a cimentarsi con quello che potrebbe farli crescere ancora. Se fossi tornato dall'Italia negli anni Sessanta per dedicarmi unicamente ai western, mi sarei ritrovato presto fuori dal giro. Il segreto della longevità è uno solo: cambiare, cambiare di continuo e cercare sempre cose nuove con le quali cimentarsi. Finché sarò lucido offrirò al pubblico quello che mi è possibile, che è molto più di quanto io abbia offerto come regista a 40, 50, 60 o 70 anni. Ora mi sento a mio agio in questo ruolo".

Ha paura della morte?
"Non credo. Ho imparato da mia madre che quando una cosa non ti diverte più è giunto il momento di passare ad altro e lasciar perdere".

Perché ha voluto dirigere Hereafter?
"La sceneggiatura era molto bella. Si tratta di un supernatural thriller scritto da Peter Morgan, che ha scritto anche "The Queen" e "Frost/Nixon". La trama è tutto. Poi servono buoni attori: io do sempre molta importanza al casting. Se hai una buona sceneggiature e un buon cast per rovinare il film devi mettercela davvero tutta".

Il suo prossimo film è una biografia su J. Edgar Hoover.
"Sono in quella fase della vita nella quale non si ha voglia di ripetersi. Forse se fossi giovane mi accontenterei. Inoltre non sono attaccato a un genere in particolare, come lo ero forse una quarantina di anni fa...".

Lavora molto velocemente...
"Detesto fare molte prove e varie riprese. Mi piace dirigere come sono stato diretto io, il che significa che mi faccio avanti e faccio vedere come vorrei che fosse interpretata una scena. Se invece non piace come la intendo io, lascio che a parlare siano gli altri e ci si mette d'accordo. In ogni caso non dico mai: "Stai lì, ripeti le battute, anzi facciamolo per 25 volte!". Potrei ammuffire...".

Ha sempre diretto in questo modo?
"No, in realtà così ho iniziato con "Gli spietati". Chiesi a Gene Hackman di ripetere una scena mentre sistemavo la cinepresa. Lui iniziò ed era così meraviglioso che gli dissi: "Fermati! Accendiamo e giriamo subito". Non volevo che andasse sprecata tutta quella freschezza, quella naturalezza".

Che atmosfera si respira sui suoi set?
"Mi piace che regni sempre la tranquillità. Gli assistenti alla regia lavorano in cuffia e auricolare, così che gli attori non si innervosiscono. Non dico nemmeno la parola magica "Azione!". Dico soltanto: "Appena siete pronti, iniziate pure"".

Ha mai rimpianto di aver rifiutato il ruolo di James Bond quando Sean Connery smise di interpretarlo?
"No. Pensavo che 007 dovesse essere inglese. Sono di discendenza britannica, ma non è la stessa cosa. Oltretutto non era proprio un ruolo per il quale avessi un debole".

Come è cambiata secondo lei l'industria del cinema?
"Tutti badano a una cosa sola: gli incassi della prima settimana nelle sale. Sono ossessionati dall'idea di essere quelli che incassano di più. Ma chi se ne frega!".

Non la preoccupano gli incassi?
"Per niente. Voglio girare solo le storie che mi piacciono. Se poi avranno un buon pubblico bene. Ma di sicuro non mi preoccupo: ognuno è libero di apprezzare quello che vuole".

Crede di essere diventato più pacato col tempo?
"Sono più paziente. Penso che dipenda dal fatto che ho avuto tanti figli, ma anche la vecchiaia rende più pacati. Le piccole cose non sono più così importanti come una volta, e non ci si preoccupa più per le bazzecole".

Lei ha sette figli (da cinque donne diverse) e tra il primo e l'ultimo che oggi ha 13 anni corrono 33 anni di differenza. Come ci si sente a essere un padre anziano?
"Essere padri alla mia età è una sensazione magnifica. Pur avendo sempre lavorato molto non ho mai trascurato i miei figli. Vado a ogni partita di calcio di mio figlio, e so di essere per lo meno ridicolo, perché tutti gli altri padri sono molto più giovani di me. Ma è divertente... Alla mia età si apprezzano le cose molto di più".

Di che cosa si occupa quando non lavora?
"Mi piace fare le cose con calma. Gioco a golf quasi tutti giorni e mi piace bere birra Budweiser. La cosa più bella, però, è che mi piaccia ancora lavorare. Credo che sia questo a tenermi giovane: tenere sempre il cervello bene in funzione".

Dopo "Gran Torino" lei ha detto che non tornerà a recitare. La pensa ancora così?
"Beh, non ci sono molte sceneggiature che prevedano attori ottantenni! Oltretutto sono sempre molto impegnato a dirigere per riuscire a interpretare qualche parte ancora. Il mio posto adesso è dietro la telecamera. Senza contare che mi piacerebbe lasciare quando sono al top. Non vorrei essere come uno di quei pugili che continuano a stare sul ring anche quando non combattono al meglio".

Come le piacerebbe essere ricordato?
"La maggior parte delle persone, se mai mi ricorderà, penserà a me come un "action hero". E mi sta bene. Non c'è nulla di male in questo. Ma ci sarà sicuramente anche qualcuno che mi ricorderà per gli altri film, quelli nei quali ho voluto cogliere qualche sfida. O per lo meno mi piace pensarlo".

(© IFA-la Repubblica - Traduzione di Anna Bissanti)

(10 maggio 2010) © Riproduzione riservata

venerdì 7 maggio 2010

Allegretto

Vi prego, salvate la Miosfera di STEFANO BENNI
UN preistorico vulcano islandese erutta e tutto il modernissimo traffico aereo è bloccato. Ma l'Italia sembra far parte di un'altra galassia e pensa solo alle sue piccole beghe. Il fifone schiva-processi dice che la mafia è un'invenzione dei media e Dell'Utri è un cartone animato. Bossi dà la colpa della nube alla crisi monetaria islandese e reclama le banche del Polo Nord.

Bertone è alla ricerca di un'analogia tra i crateri e i sodomiti. Bersani dice, si sciolgano pure i ghiacciai, basta che non si vada al voto. E alla fine il ministro Matteoli se ne esce con una proposta geniale: nessuno viaggi. Abbiamo capito perché è ministro.

Il terremoto di Haiti dopo una settimana è sparito dai media, ma al suo posto impazza una catastrofe ben peggiore: Minzolini e colleghi che si accapigliano sul milione di telespettatori perduti. Intanto abbiamo nuovi sismi in Nuova Guinea Afghanistan e Cina, ma l'argomento è logoro, non interessa più.
E dire che di problemi ambientali ne abbiamo anche noi. La penisola italica sembra snella ma è obesa. Con l'Alta Velocità possiamo schizzare da Roma a Milano in tre ore e due pacchetti di biscottini. Ma attraversarla per il largo da Roma a Cesena è come affrontare il Sahara. I cantieri della Salerno-Reggio Calabria sono patrimonio archeologico, al posto degli autogrill potrebbero avere dei nuraghi. Le autostrade a pagamento sfavillano di asfalto drenante, ma quando piove un terzo delle strade normali frana o è inagibile.

L'acqua sarà il business del futuro, è già pronta la privatizzazione con relativa spartizione. Ci sarà l'acqua Padana, metà Po metà Tevere, perché la Lega ha il cuore a nord ma l'esofago a Roma. Poi avremo Pidiella, l'acqua che combatte la renella e gli avvisi di garanzia. L'Acquafini che fa digerire i magoni e ripristina l'obbedienza. L'acqua Centrorosso, con lieve percentuale alcolica per far finta che le elezioni siano state un trionfo. Infine l'Acqua del sud, che essendo la mafia un'invenzione televisiva, sarà imbottigliata da Maria De Filippi.

In quanto all'aria le nostre città sono avvelenate dallo smog ma è tutto un fiorire di Ecomaratone, Vivilabici, Corricheseisano, Domenica Respira. Una o due volte all'anno migliaia di cittadini in tuta e scarpette testimoniano la loro volontà di sopravvivere. Ma il giorno dopo Domenica Respira c'è già Lunedì Ansima e poi Martedì Strozzati. È uscito anche un decalogo "per attraversare bene una città", come a dire, la colpa non è dell'inquinamento, ma dei cittadini idioti che non sanno respirare. In quanto alla Fiat, ha le auto elettriche pronte ma finché c'è il petrolio mancano le prolunghe.

E tra poco riavremo il nucleare. Verranno costruite solo centrali della moderna terza generazione. Vuole dire che ci devono guadagnare almeno tre grosse industrie. Nessuno ha proposto di costruire una nuova generazione di edifici scolastici, non si guadagna abbastanza.

Tutto questo testimonia che, di fronte a un emergenza ambientale senza precedenti, l'Italia continua a mostrare scarsissima conoscenza e coscienza ecologica. Ci sono singoli parlamentari, associazioni benemerite, comitati di cittadini, qualcuno come Grillo o Vendola che ci sta provando. Ma il partito verde italiano è sempre stata la cenerentola dei partiti verdi europei.

Tutti sentiamo parlare di pale eoliche e pannelli solari, ma le pale restano ferme, e sul fotovoltaico c'è un caos di leggi, di certificazioni improvvisate e di confusione sui costi. Sui nostri tetti l'unica cosa che trionfa è la parabolica.

Camion e navi con rifiuti tossici non hanno smesso un istante di attraversare i nostri territori e il nostro mare. Basta pagare una multa e si riparte. E la nostra prevenzione incendi è al livello di quella degli eschimesi.
Forse c'è una spiegazione. Forse l'Italia si è affezionata all'immagine di qualcosa di sporco, franante, disordinato, e guasto. Le nostre bellezze devono avere un contrappunto fetente, per venire incontro alle aspettative ai turisti. Che infatti fotografano con la stesso interesse i nostri quadri e la spazzatura per strada.

Eppure la parola "pulito" salta fuori in ogni nuovo slogan, iniziativa, e palingenesi. Berlusconi si è promozionato ripulendo una parte di Napoli, poco importa che adesso tutto stia tornando come prima. Le gallerie ferroviarie "ecostabili" della Roma-Bologna hanno distrutto i torrenti dell'Appennino, ma non sentirete mai un'amministrazione rossa protestare per questo scempio. Andate sullo Jonio e vedrete che per un ecomostro abbattuto, un altro sta spuntando.

Chi ci difende da questo massacro mafioso-cementizio? I geologi, i sismologi, i metereologi sono ormai post-esperti. Nel senso che vengono ascoltati solo dopo i disastri. Sarebbe bellissima una trasmissione televisiva in prima serata col titolo "Io l'ho visto" in cui si denunciano i pericoli e i guasti del dissesto idrogeologico e si indica come intervenire subito. Ma i disastrologi devono constatare, non inquietare. E i più furbi tra loro hanno un argomento rassicurante, che garantisce un nuovo passaggio in televisione: dicono "è vero, è un disastro ma è già successo nel 1937". Verrebbe voglia di farsi trovare a letto con la loro moglie dicendo "quello che lei pensa è vero ma non si arrabbi, è già successo nel 1998".

Il vulcano, dicono gli scienziati, non è una malvagia anomalia, ma un motore della biosfera. In questo caso il prefisso "bio" viene usato seriamente: ma ormai non c'è prodotto che non esibisca queste tre lettere come pennacchio. Da biogas si è passati a bioyogurt, biomassaggio, biodentifricio e anche biopannolino per bioculi grandi e piccini. Quando si tratta di vendere, sono tre lettere magiche. Quando però si parla di biosfera, cioè di un organismo che non si può vendere, ma che si dovrebbe difendere dalla sfrenatezza economica, il discorso cambia. Ogni istanza ecologica diventa biochiacchiera apocalittica. E i giapponesi con cinica serietà scientifica ci informano che la crisi totale della biosfera è già in atto, e scommettono chi sul 2013 chi sul 2050. Non è un dubbio cosmico come "chi vincerà lo scudetto", ma varrebbe la pena di rifletterci.
Fortunatamente per i dirigenti italiani le tre lettere sacre non sono bio, ma "mio", la miosfera del privilegio e dell'impunità. Quel vulcano è un rompiballe, che probabilmente ha dentro al cratere un ritratto di Che Guevara. Dimentichiamolo in fretta.

Recentemente Obama ha detto che entro il duemilatrenta l'uomo deve assolutamente andare su Marte. Ci viene un dubbio: lo ha detto per desiderio scientifico o sta preparando un'arca di Noè? Sarebbe bello se l'inevitabile nube islandese ci spingesse a pensare alle nubi evitabili del nostro futuro. Ma la fine del mondo sembra ormai l'ultimo grande spettacolo che ci è rimasto. Non conviene rinviarla, abbiamo già venduto tutti i biglietti.

(20 aprile 2010) © Riproduzione riservata

giovedì 6 maggio 2010

Pehnt

Vecchio, benedetto, Pekisch,
questo non me lo devi fare. Non me lo merito. Io mi chiamo Pehnt, e sono ancora quello che se ne stava sdraiato per terra a sentire la voce nei tubi, come se quella arrivasse davvero, e invece non arrivava. Non è mai arrivata. E io adesso sono qui. Ho una famiglia, ho un lavoro e la sera vado a letto presto. Il martedì vado a sentire i concerti che danno alla Sala Trater e ascolto musiche che a Quinnipak non esistono: Mozart, Beethoven, Chopin. Sono normali eppure sono belle. Ho degli amici con cui gioco a carte, parlo di politica fumando il sigaro e la domenica vado in campagna. Amo mia moglie, che è una donna intelligente e bella. Mi piace tornare a casa e trovarla lì, qualsiasi cosa sia successa nel mondo quel giorno. Mi piace dormire vicino a lei e mi piace svegliarmi insieme a lei. Ho un fïglio e lo amo anche se tutto fa supporre che da grande farà l'assicuratore. Spero che lo farà bene e che sarà un uomo giusto.
La sera vado a letto e mi addormento. E tu mi hai insegnato che questo vuol dire che sono in pace con me stesso. Non c'è altro. Questa è la mia vita. Io lo so che non ti piace, ma non voglio che tu me lo scriva. Perché voglio continuare ad andare a letto, la sera, e addormentarmi.
Ognuno ha il mondo che si merita. Io forse ho capito che il mio è questo qua. Ha di strano che è normale. Mai visto niente del genere, a Quinnipak. Ma forse proprio per questo, io ci sto bene. A Quinnipak si ha negli occhi l'infinito. Qui, quando proprio guardi lontano, guardi negli occhi di tuo figlio. Ed è diverso. Non so come fartelo capire, ma qui si vive al riparo. E non è una cosa spregevole. É bello. E poi chi l'ha detto che si deve proprio vivere allo scoperto, sempre sporti sul cornicione delle cose, a cercare l'impossibile, a spiare tutte le scappatoie per sgusciare via dalla realtà? E proprio obbligatorio essere eccezionali? lo non lo so. Ma mi tengo stretta questa vita mia e non mi vergogno di niente: nemmeno delle mie soprascarpe. C'è una dignità immensa, nella gente, quando si porta addosso le proprie paure, senza barare, come medaglie della propria mediocrità. E io sono uno di quelli.
Si guardava sempre l'infinito, a Quinnipak, insieme a te. Ma qui non c'è l'infinito. E così guardiamo le cose, e questo ci basta. Ogni tanto, nei momenti più impensati, siamo felici.
Andrò a letto, questa sera, e non mi addormenterò. Colpa tua, vecchio, maledetto Pekisch.
Ti abbraccio. Dio sa quanto ti abbraccio.

Pehnt, assicuratore.

(Alessandro Baricco, Castelli di Rabbia)

The Big Kahuna

Goditi potere e bellezza della tua gioventù. Non ci pensare.
Il potere di bellezza e gioventù lo capirai solo una volta appassite.
Ma credimi tra vent'anni guarderai quelle tue vecchie foto.
E in un modo che non puoi immaginare adesso.

Quante possibilità avevi di fronte
e che aspetto magnifico avevi!
Non eri per niente grasso come ti sembrava.

Non preoccuparti del futuro.
Oppure preoccupati ma sapendo che questo ti aiuta quanto masticare un chewing-gum per risolvere un'equazione algebrica.

I veri problemi della vita saranno sicuramente cose che non ti erano mai passate per la mente, di quelle che ti pigliano di sorpresa alle quattro di un pigro martedì pomeriggio.

Fa' una cosa ogni giorno che sei spaventato: canta!

Non essere crudele col cuore degli altri.
Non tollerare la gente che è crudele col tuo.

Lavati i denti.

Non perdere tempo con l'invidia: a volte sei in testa, a volte resti indietro.
La corsa è lunga e, alla fine, è solo con te stesso.

Ricorda i complimenti che ricevi, scordati gli insulti.
Se ci riesci veramente, dimmi come si fa...

Conserva tutte le vecchie lettere d'amore,
butta i vecchi estratti-conto.

Rilassati!

Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita.
Le persone più interessanti che conosco a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita.
I quarantenni più interessanti che conosco ancora non lo sanno.

Prendi molto calcio.

Sii gentile con le tue ginocchia,
quando saranno partite ti mancheranno.

Forse ti sposerai o forse no.
Forse avrai figli o forse no.
Forse divorzierai a quarant'anni.
Forse ballerai con lei al settantacinquesimo anniversario di matrimonio.
Comunque vada, non congratularti troppo con te stesso,
ma non rimproverarti neanche: le tue scelte sono scommesse,
come quelle di chiunque altro.

Goditi il tuo corpo,
usalo in tutti i modi che puoi,
senza paura e senza temere quel che pensa la gente.
E' il più grande strumento che potrai mai avere.

Balla!
Anche se il solo posto che hai per farlo è il tuo soggiorno.

Leggi le istruzioni, anche se poi non le seguirai.
Non leggere le riviste di bellezza:
ti faranno solo sentire orrendo.

Cerca di conoscere i tuoi genitori,
non puoi sapere quando se ne andranno per sempre.
Tratta bene i tuoi fratelli,
sono il miglior legame con il passato
e quelli che più probabilmente avranno cura di te in futuro.

Renditi conto che gli amici vanno e vengono,
ma alcuni, i più preziosi, rimarranno.
Datti da fare per colmare le distanze geografiche e gli stili di vita,
perché più diventi vecchio, più hai bisogno delle persone che conoscevi da giovane.

Vivi a New York per un po', ma lasciala prima che ti indurisca.
Vivi anche in California per un po', ma lasciala prima che ti rammollisca.

Non fare pasticci con i capelli: se no, quando avrai quarant'anni, sembreranno di un ottantacinquenne.

Sii cauto nell'accettare consigli,
ma sii paziente con chi li dispensa.
I consigli sono una forma di nostalgia.
Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio,
ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte
e riciclarlo per più di quel che valga.

Ma accetta il consiglio... per questa volta.

L'inferno dei viventi

L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Italo Calvino, Le città invisibili, 1972