venerdì 6 aprile 2007

Accadono cose che sono come domande.

Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde.
La storia di Morivar era una di quelle cose lì.
Quando il signor Rail era poco più che un ragazzo, andò un giorno a Morivar, perché a Morivar c'era il mare.
E fu lì che vide Jun.
E pensò: io vivrò con lei.
Jun era in mezzo ad altra gente. Aspettavano di imbarcarsi su una nave che si chiamava Adel. Bagagli, bambini, urla e silenzi. IL cielo era terso e si annunciava tempesta. Stranezze.
- Io mi chiamo Dann Rail.
- E allora? - No, niente, volevo dire che... stai per partire? - Sì.
- Dove vai? - E tu? - Io da nessuna parte. Io non parto.
- E cosa fai qui? - Sono venuto a prendere qualcuno.
- Chi? - Te.
Dovevi vederla, Andersson, era di una bellezza...Aveva una sola valigia, posata per terra, e in mano un pacco che teneva stretto, che non mollava mai, quel giorno non lo mollò mai un attimo. Non voleva andarsene da lì, voleva salire su quella nave, e allora io le chiesi "Tornerai?" e lei rispose "No ".
E io dissi "Allora non credo ti convenga partire davvero ; così le dissi. "E perché?" Mi chiese, "E perché "/ - Perché se no come farai a vivere con me? / E allora lei rise, era la la prima volta che la vedevo ridere, e 'J q tu lo sai bene, Andersson, com è un quando ride, non è che uno può star lì e far finta di niente, se c'è Jun che gli ride lì davanti è chiaro che uno finisce per pensare se io non bacio questa donna impazzirò. E io pensai: se non bacio questa ragazza impazzirò.
Ovviamente non era esattamente quello che pensava anche lei, ma quel che è importante è che rise, giuro, lei era li, in mezzo a tutta quella gente, con il suo pacco stretto tra le braccia, e rise / Mancavano ancora due ore alla partenza della Adel. Il signor Rail comunicò a Jun che se lei non fosse andata a bere qualcosa con lui, lui si sarebbe legato un grosso sasso al collo, si sarebbe buttato nell'acqua del porto, e il grosso sasso, sprofondando nell'acqua, avrebbe squarciato la chiglia della Adel che sarebbe sprofondata urtando la nave vicina la quale, avendo la stiva piena di polvere da sparo, sarebbe esplosa con terrificante fragore sollevando fiammate alte decine di metri che in poco tempo...
- Va bene, va bene, prima che vada a fuoco il paese andiamo a bere qualcosa, d'accordo? Lui prese la valigia, lei si tenne stretto il suo pacco.
La taverna era a un centinaio di metri da li. Si chiamava "Domineiddio". Non era un nome da taverna. IL signor Rail aveva due ore di tempo, anche qualcosa di meno. Sapeva dove voleva arrivare, ma non sapeva da dove partire. Lo salvò una frase che un giorno gli aveva detto Andersson, e che per anni era stata lì ad aspettare il suo momento. Era arrivato, il suo momento. "E se proprio vedi che non c'è niente da fare, allora incomincia a raccontare del vetro. Le storie che ti ho raccontato io. Vedrai che ci casca. Nessuna donna può veramente resistere a quelle storie . Per due ore il signor Rail raccontò a Jun del vetro. Inventò quasi tutto. Ma alcune cose erano vere. E bellissime.
Jun ascoltava.
Come se le stessero parlando della luna.
Poi un uomo entrò nella taverna e gridò che la Adel stava per salpare. Gente che si alza, voci gettate da una parte all'altra, ondeggiare di pacchi e bagagli, bambini che piangono. Jun si alza. Prende la sua roba, si gira e va verso la porta. IL signor Rail lascia dei soldi sul tavolo e le corre dietro. Jun cammina svelta verso la nave. IL signor Rail le corre dietro e pensa Una frase, devo assolutamente trovare la frase giusta. Ma è lei che la trova. Si ferma di colpo. Posa la valigia per terra, si gira verso il signor Rail e sussurra
- Ne hai altre, di storie?... di storie come quella del vetro.
- Un mucchio.
- Ne hai una lunga come una notte? / Così non ci salì, su quella nave.
E rimanemmo tutti e due laggiù, a Morivar. Ci volevano sette giorni prima che ne partisse un altra.
Passarono in fretta. E poi ne passarono altri sette. La nave quella volta si chiamava Esther. Jun ci voleva proprio salire. Diceva che doveva proprio salirci. Era per quel pacco, capisci? Disse che doveva portarlo laggiù, non so nemmeno dove fosse, laggiù, non me l'ha mai detto. Ma è là che deve portarlo. A qualcuno, credo. Non mi ha mai voluto dire a chi. Lo so che è una storia strana ma è così. Laggiù c'é qualcuno e un giorno Jun arriverà davanti a lui e gli poserà quel pacco tra le mani.
In quei giorni che eravamo a Morivar, una volta me lo fece vedere. Apri la carta e dentro c'era un libro, tutto scritto con una grafia piccolissima, rilegato in blu. Un libro, capisci Solo un libro / - L'hai scritto tu? - No. - E cosa dice? - Non lo so. - Non l'hai letto? - No. - E perché? - Un giorno magari lo leggerò. Ma prima devo portarlo laggiù.
/ Sant'Iddio, Andersson, in non so come bisogna fare nella vita, ma lei quel libro lo deve portare laggiù e io... io sono riuscito a non farla salire su quella nave che si chiamava Esther, io sono riuscito a portarla qui, e ogni settimana c'è una nave che parte senza di lei, ormai da anni. Ma non riuscirò per sempre a tenerla qui, gliel'ho promesso, un giorno lei si alzerà, prenderà quel suo maledettissimo libro e se ne tornerà a Morivar: e io la lascerò andare. Gliel'ho promesso. Non fare quella faccia, Andersson, lo so anch'io che sembra un'assurdità, ma è così. Prima di me c'è arrivato quel libro, nella sua vita, e io non ci posso fare niente. Sta lì, a metà strada, quel maledetto libro, e non potrà stare lì per sempre. Un giorno ripiglierà il suo viaggio. E Jun è quel viaggio. Lo capisci? Tutto il resto, Quinnipak, questa casa, il vetro, tu, Mormy e perfino io, tutto il resto non è che una grande fermata imprevista. Miracolosamente, da anni, il suo destino trattiene il fiato. Ma un giorno tornerà a respirare. E lei se ne andrà. Non è nemmeno così orribile come sembra. Sai, ogni tanto penso... forse Jun è così bella perché ha addosso il suo destino, limpido e semplice. Dev'essere una cosa che ti rende speciale. Lei ce l'ha. Di quel giorno, sul molo di Morivar, io non dimenticherò mai due cose: le sue labbra, e come stringeva quel pacco. Adesso so che stringeva il suo destino. Non lo mollerà solo perché mi ama. E io non glielo ruberò solo perché la amo. Gliel'ho promesso. É un segreto e non lo devi dire a nessuno. Ma è così /
- Mi lascerai partire, quel giorno?
- Sì.
- Davvero, signor Rail?
- Davvero.
- E fino ad allora non parleremo mai più di questa storia, proprio mai? - No, se non vuoi.
- Allora portami a vivere con te. Ti prego.
É per questo che un giorno, da Morivar, arrivò il signor Rail, e insieme a lui c'era una ragazza cosi bella come a Quinnipak non se n'erano mai viste. E per questo che si amarono, quei due, in quel modo strambo, che a vederlo sembrava impossibile, e però era bello, che se solo si potesse imparare...Ed è per questo che per giorni e giorni, trentadue anni dopo, il signor Rail fece finta di non vedere i minuscoli preparativi che sgusciavano via dai gesti di Jun, fino a che proprio non poté più resistere e dopo aver spento la lampada, quella notte, lasciò scivolare qualche istante di nulla, poi chiuse gli occhi e invece di dire
- Buona notte, disse
- Quando parti?
- Domani.
Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde.
Ne passarono trentadue, di anni, prima che Jun riprendesse la sua valigia, si stringesse addosso il suo pacco, e uscisse dalla porta della casa del signor Rail.
Mattino presto. L'aria sciacquata dalla notte. Pochi rumori. In giro, nessuno. Jun scende il sentiero che porta alla strada. C'è il calesse di Arold che l'aspetta. Passa tutti i giorni, lui, da lì. Non gli importa di farlo un po' più presto del solito, quel giorno. Grazie, Arold. Grazie di che? Il calesse parte. Macina la strada a poco a poco. Non tornerà indietro. Qualcuno si è svegliato da poco. Lo vede passare.
É Jun.
E Jun che se ne va.
Ha un libro, in mano, che la sta portando lontano.
(Addio, Dann. Addio, piccolo signor Rail, che mi hai insegnato la vita. Avevi ragione tu: non siamo morti. Non è possibile morire vicino a te. Perfino Mormy ha aspettato che tu fossi lontano per farlo.
Adesso sono io che vado lontano. E non sarà vicino a te che morirò. Addio, mio piccolo signore, che sognavi i treni e sapevi dov'era l'infinito. Tutto quel che c'era io l'ho visto, guardando te. E sono stata ovunque, stando con te. É una cosa che non riuscirò a spiegare mai a nessuno. Ma è così. Me la porterò dietro, e sarà il mio segreto più bello. Addio, Dann. Non pensarmi mai, se non ridendo. Addio.)

Alessandro Baricco, Castelli di Rabbia

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